INCHIESTA del Centro Studi Futura su “LA PERCEZIONE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE”

violenza lotta

Per far emergere l’impressione circa la violenza sulle donne, ci siamo impegnati attraverso una inchiesta sociale, alla realizzazione di un sondaggio, per acquisire dati quantitativi al fine di dimostrare in modo scientifico gli aspetti che caratterizzano l’opinione pubblica, rispetto al tema della violenza sulle donne.

La violenza sulle donne è stata definita dall’ONU come “un flagello mondiale”, poiché è un fenomeno radicato in tutti i Paesi del mondo tra i quali si annovera anche l’Italia. Gli aggressori appartengono a tutte le classi sociali e compiono abusi fisici e sessuali tanto su soggetti adulti e minori, quanto sul luogo di lavoro che in famiglia. Per combattere questa forma di violenza, oltre alle leggi, servono adeguate forme di prevenzione e di educazione.

Purtroppo, la violenza contro le donne sta diventando un fenomeno sempre più diffuso nell’ambito della famiglia e in tutta la nostra società. Abbiamo potuto osservare come nell’attuale situazione di emergenza da Coronavirus, la violenza di genere contro le donne rischi di aggravarsi ulteriormente. L’isolamento, la convivenza forzata, le restrizioni alla circolazione e l’instabilità socio-economica comporta per le donne – e per i loro figli – il rischio di una maggiore esposizione alla violenza domestica, per cui è indispensabile affrontare rigorosamente il problema al fine di eliminare o almeno ridurre gli effetti negativi prodotti da tale forma di violenza, punendola non solo quando si presenta sotto le forme più brutali e disumane, ma anche quando assume l’aspetto del ricatto morale e della violenza psicologica.

Spesso si commette il grossolano errore di pensare che l’aggressore possa identificarsi in quegli uomini sbandati, affetti da disturbi psichiatrici, tossicodipendenti, ma anche migranti o più in generale nelle persone che vivono ai margini della società, ma ciò è sbagliato in quanto gli aggressori – e le loro vittime – appartengono a tutte le classi sociali, a tutti i ceti economici e culturali. Sovente tra i carnefici infatti troviamo mariti, fidanzati, compagni di vita e padri di famiglia, seguiti poi dagli amici, dai vicini di casa e dai conoscenti stretti, dai colleghi di lavoro o di studio. Le cause sono da ricercare prevalentemente nel mancato riconoscimento dell’identità delle donne da parte degli uomini, e nella non realizzata parità di diritti tra gli stessi, ovvero nel negare alle donne la possibilità di realizzarsi e di autodeterminarsi secondo quanto ritengono sia meglio per la loro vita.

È da ciò che nasce l’esigenza di mettere in atto una ricerca sociale che abbia come obbiettivo principale quello di indagare e fornire un’idea di ciò che pensano le persone della violenza in generale, sia essa fisica, psicologica, domestica, perpetrata nei confronti delle donne sui luoghi di lavoro e non.

Successivamente all’elaborazione dei dati ottenuti tramite il questionario somministrato su circa 300 soggetti, abbiamo rilevato quanto segue.

Alla domanda su chi sia da considerarsi il “colpevole” della violenza:

  • Per il 91% dei soggetti intervistati ha risposto che è la persona che violenta ad essere appunto il “colpevole”;
  • il 2% ritiene che colpevole sia invece la persona violentata;
  • il 6% asserisce che lo siano entrambi (aggressore e vittima);
  • l’1% nessuno dei due.

Alla domanda sull’efficacia e sull’applicazione delle norme presenti nel nostro ordinamento per contrastare il fenomeno:

  • il 46% delle persone intervistate ritiene che le norme siano poco efficaci e non vengano correttamente applicate;
  • il 34% considera le leggi in vigore per nulla idonee;
  • il 13% le ritiene abbastanza efficaci;
  • il 5% molto efficaci;
  • il 2% ne considera l’efficacia determinante.

Ci siamo poi soffermati sulla delicata questione riguardante la riproducibilità degli atteggiamenti di violenza che si verifichino in famiglia, da parte dei figli che vivano in prima persona o comunque da spettatori gli atti di violenza, ed è emerso quanto segue:

  • il 47% dei soggetti intervistati crede che l’assistere alle violenze in ambiente familiare possa bastare affinché i figli di una persona violenta riproducano a loro volta comportamenti di violenza;
  • il 53% non lo ritiene invece del tutto sufficiente.

Abbiamo chiesto inoltre se la violenza possa nascere da un retaggio passato, in cui l’uomo era visto come padrone della donna e, come tale, suo superiore:

  • il 39% dei soggetti intervistati ritiene questa visione abbastanza valevole;
  • il 33% si considera molto d’accordo con questa visione;
  • il 20% poco d’accordo;
  • l’8% crede che questa sia ormai una visione passata e retrograda.

Abbiamo indagato anche sulla rilevanza che le agenzie di socializzazione possano avere nel contrastare il fenomeno o almeno cercare di diminuirlo, in particolar modo per quanto riguarda la scuola e la chiesa:

  • il 51% degli intervistati ritiene che queste abbiano poca rilevanza;
  • il 22% afferma invece che sono abbastanza rilevanti;
  • il 18% le considera per nulla rilevanti;
  • il 12%, ovvero la restante parte, crede che scuola e chiesa abbiano rilevanza e potere sul fenomeno.

Altra domanda considerevole – visto il periodo storico che stiamo vivendo – è stata se la mercificazione del corpo femminile spesso ostenta in tv o sul web, possa influire sulle azioni di violenza che vengono messe in atto:

  • il 36% del campione intervistato ritiene che ciò sia abbastanza influente;
  • il 21% lo ritiene poco rilevante;
  • il 16% di converso lo giudica per nulla rilevante;
  • il 15% molto rilevante;
  • il 12% ne considera la rilevanza determinante.

Per concludere, abbiamo domandato se chi subisce violenza riesce a rendersene conto fin da subito:

  • il 50% ha risposto no;
  • il 29% forse;
  • il 21% sì.

Tutte queste percentuali cosa ci dicono? Si possono notare diverse posizioni e diversi pareri su tale fenomeno ma, aspetto principale da sottolineare, è come questo “cancro” che affligge la nostra società non riesca ancora ad essere sradicato.

Per evitare che il problema della violenza sulle donne rimanga ai margini della società, per esprimere il lato positivo dello stare al mondo degli uomini, per cambiare le rappresentazioni che gli uomini hanno di loro stessi e delle donne è necessario ricorrere alla prevenzione: quando ci si rendere conto che nel rapporto di coppia, nel rapporto familiare, nel rapporto con gli amici o con giovani conoscenti qualcosa inizia a non andare per il verso giusto, bisogna agire immediatamente in qualunque contesto sociale ci si trovi a vivere.

Occorre conseguenzialmente una maggiore severità e una maggiore rapidità nell’emettere le sentenze di condanna da parte della magistratura giudicante, bisogna infatti evitare il fenomeno delle violenze sommerse che spesso sono compiute tra le mura domestiche e che non vengono così mai denunciate.

La battaglia culturale contro la violenza sessuale deve passare attraverso un’educazione alla sessualità e all’amore, per valorizzare l’incontro tra i sessi come un incontro tra le differenze. Questo tipo di formazione non può prescindere da un’educazione al rispetto dell’altro, dalla convinzione che la domanda d’amore non può mai coincidere con il sopruso e con l’annientamento della libertà dell’altro, ma piuttosto come un dono di libertà.

 

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